Marocco, le petizioni online infiammano il Web per fermare il massacro dei cani che sta avvenendo in vista del piano di contenimento del randagismo previsto per i Mondiali di calcio 2030.
Probabilmente si tratta solo della “prima sessione”, poiché il tempo è ancora lungo in vista del Mondiale.
Un’altra atroce sofferenza perpetrata ai danni di vittime innocenti e silenziose, ma non è certo la prima volta: durante gli Europei di calcio ucraini, tenutisi nel 2012, le strade di Kiev si sono tinte di rosso. Migliaia i cani uccisi.
Le uccisioni dei randagi (cani, ma anche gatti ) non sono una novità.
Ogni qualvolta un grande evento porta i riflettori della stampa mondiale, le strade vengono “ripulite” dagli animali che hanno la sola colpa di non avere un padrone. Spesso i metodi utilizzati sono brutali, come avvelenamenti e spari.
Nonostante l’aumento collettivo della sensibilità nei confronti animali, siamo ancora lontani dall’intraprendere collettivamente una strada civile per contenere il problema del randagismo.
Intanto i volontari delle associazioni, come quelli della LNDC Animals protection, si mobilitano per chiedere azioni alternative.
La costruzione di rifugi e le adozioni internazionali, sono solo alcune delle possibilità promosse.
L’indignazione non tocca solo gli attivisti, tra cui alcune associazioni marocchine, ma anche gli utenti del web.
Gli investimenti per questi Mondiali sono cifre da capogiro: 10 miliardi e 300mila dollari le spese stimate per diverse azioni atte a migliorare la visibilità mediatica della nazione marocchina.
C’è quindi chi si domanda perché una fetta di quei costi non venga destinata per la costruzione di luoghi santuario per questi animali.
Il business è purtroppo business e non lascia spazio a riflessioni etiche. Queste le motivazioni reali che portano veri e propri massacri compiersi in vista dei grandi eventi.
Il Marocco non è che l’ultimo di una scia di sangue lasciata da tantissimi Paesi negli anni precedenti.
Si spera che si possa costruire una strada diversa grazie alla visibilità mediatica della questione.
Credits foto: Change.org



